“Senza fastidio”. Il gioco come motore educativo dentro ed intorno al museo
Fabio Pagano
Direzione Generale Musei - MiBACT
“Li figlioli, senza fastidio, giocando si trovano a saper tutte le scienze istoricamente prima che abbin dieci anni”. Questo avviene nel tempio/museo che Tommaso Campanella pone al centro del potere primario della sua Città del Sole. Di questa indicazione programmatica appare in primo luogo affascinante la funzione dedicata al tempio/museo di luogo dove si possono “saper tutte le scienze istoricamente”. Una visione di uno spazio difeso da mura e cortine “che si calano quando si predica per non perdersi la voce” dove si esprime una concentrica distribuzione di esperienza che diventa sapere, sotto l'egida di Sin (il Sapienza), principe collaterale del Metafisico. Nella sua utopica visione, Tommaso Campanella non immagina esclusivamente un tempio del sapere, un deposito di concetti, cose, uomini e animali, ma anche un luogo di trasmissione della conoscenza, dove questo processo possa avvenire in forme naturali, spontanee, solamente per il fatto di poter vivere e frequentare quel luogo, unicamente perché gli uomini“si trovano” al suo interno. Un posto, dunque, dove l'uomo si avvicina alla cultura e lo fa “senza fastidio, giocando”.
Secondo le teorie di Gregory Bateson il rapporto tra cultura, intesa come rete di aspettative socialmente condivise, ed apprendimento si sviluppa all’interno dell’orientamento, dentro una trama mobile di cornici e contesti. L'entrare in questa rete, e quindi avvicinarsi alla cultura, si esprime essenzialmente nell’imparare ad imparare, nell’apprendere cosa sia e, soprattutto, come funzioni un determinato contesto. Un' esperienza “immersiva” dove si entra (“si trovano”) dentro qualcosa, mettendosi in gioco (“senza fastidio”) e avvicinandosi alla conoscenza (“saper”). Nella concezione di Bateson il museo può essere immaginato come una cornice, che solitamente al suo interno raccoglie altre cornici. La “cornice” museo può essere avvicinata per gioco, ponendo il fruitore o il potenziale fruitore, di fronte all’esercizio di entrare in ruoli e contesti e spingendolo a gestirli da protagonista. Non si tratta di imparare questo o quel comportamento, e nemmeno questo o quel contesto, ma di apprendere appunto, in generale, che esistono dei contesti, che cosa sono e come funzionano. Il giocare è una delle manifestazioni essenziali che assume questo “imparare ad imparare”. Bateson afferma che il “giocare” ha luogo là dove oggetti e situazioni vengono avvicinati da noi come per “gioco”. Non vi è nessuna accezione riduttiva in tale definizione, si tratta di una delle procedure essenziali con cui si entra all’interno delle nostre culture, sperimentandole. Non solo quindi è onesto avvicinarsi al museo per gioco, ma nel gioco, laddove venga costruito con coscienza e conoscenza, si può individuare una delle più efficaci macchine operative della didattica museale.
La letteratura in materia di gioco è estremamente vasta e articolata, come ricca appare anche quella più settoriale sulle applicazioni del gioco in chiave educativa. Secondo una delle sistematizzazioni più note, frutto degli studi di Roger Callois, il gioco è volontario, circoscritto, incerto, improduttivo, regolato e fittizio. Un'attività divertente, non imposta, che si sviluppa con la variabile dell'incertezza all'interno di un quadro di regole certe e che, all'interno di un tempo definito, conduce verso una realtà diversa e fittizia. Nella prospettiva del rapporto gioco-museo l'aspetto più stimolante appare la capacità mimetica del gioco, quella prerogativa che Callois individua nella maschera, dove si possono trovare le chiavi, per dirla alla Bateson per entrare nella cornice. Nella prospettiva del museo, la cornice può essere il museo stesso, la storia della collezione e del contenitore o un elemento rappresentativo e centrale delle storie che conserva. Lastoria della collezione Farnese, l'avventura della colonizzazione greca o le vicende della migrazionedei popoli barbarici, possono essere avvicinate per gioco, veicolando educazione in modo inconsapevole ma efficace, trasmettendo competenze e surrettiziamente nozioni e conoscenze.
In una dimensione di analisi del problema dal punto di vista della linguistica testuale, si potrebbe interpretare lo strumento gioco come un epitesto della cornice di riferimento, definito da un percorso di comunicazione interattiva e indipendente, nel senso che può essere intrapreso anche a distanza fisica dalla cornice museo. In questa riflessione si fonda la convinzione delle potenzialità del gioco come strumento educativo non solo nel museo ma anche intorno al museo, nella possibilità di costruire delle “cornici” legate al museo espandendo le potenzialità di comunicazione anche a distanza dallo stesso. La dimensione sperimentale dell'utilizzo delle competenze va incontro ad un problema ben noto a chi si occupa di apprendimento scolastico, ma che ha un suo impatto anche nell'esperienza didattica di una visita in museo: cosa (e per quanto tempo) rimane di ciò che si è appreso durante un 'esperienza in museo? La connessione funzionale tra conoscenza e situazioni tipica dell'esperienza del gioco appare una strada fertile per raggiungere la persistenza dell'apprendimento, nodo centrale in una fase in cui la didattica museale appare invasa da soluzioni di interazione molto limitata in cui la comunicazione appare diretta verso percorsi sempre più unidirezionali, con rischiose conseguenze per la qualità e la persistenza dell'apprendimento.
Per gioco intorno al museo si intende il gioco come strumento per la proiezione della cornice museo fuori dalla cornice. Portare il museo o alcuni dei suoi messaggi attraverso un gioco, nelle scuole o nelle biblioteche, può vuol dire assegnare all'esperienza una propria validità sia prima che dopo la visita ad un museo. La preparazione della visita ad un museo attraverso lo strumento del gioco va incontro all'esigenza, non sempre assecondata della costruzione di prerequisiti di competenze e della creazione dell'aspetto motivazionale che rappresentano le condizioni essenziali per la buona riuscita dell'esperienza museale. In forme simili lo strumento gioco offre stimolanti e divertenti risorse nella fase successiva alla visita per il consolidamento dell'esperienza e la ricostruzione del percorso cognitivo. La cornice avvicinata per gioco e gestita con le regole del gioco, deve essere ricostruita e rimodellata sulla base dell'esperienza. La fase di ricostruzione rappresenta un momento che non deve essere relegato alla dimensione di appendice del gioco, ma deve trovare la sua essenza in ciò che la teoria dell'educazione inquadra nella fase di negoziazione di significati. La modellazione di una nuova “cornice” prende le forme dell'analisi della relazione fra la ricerca storica e la sperimentazione didattica, e si costruisce mediante il ruolo fondamentale della figura del mediatore (docente/animatore museale) al quale demandare la funzione di stimolare il dialogo e la riflessione.
Su queste riflessioni e sulla profonda convinzione del potere del gioco come “motore educativo” si fonda la proposta di un gioco sull’invasione longobarda dell’Italia, elaborato all’interno dell’esperienza presso il Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli. Un gioco di simulazione che vuole condurre verso l’esperienza di vivere in prima persona un modello storico, attraverso il dinamismo tipico del gioco. La sperimentazione di indossare la maschera di Longobardi o Bizantini, aggredendo o difendendo il territorio italiano, prende movimento nella componente agonistica fatta di battaglie e assedi e viene vivacizzata dalla variabile dell’evento straordinario, tratto dalle reali vicende storiche. La cornice verrebbe nuovamente osservata dall’esterno a conclusione dell’esperienza, nel percorso nel debrifing, quando viene ristrutturato cognitivamente il percorso svolto con l’analisi scientifica guidata dalla figura del mediatore e con la trasmissione della conoscenza del vissuto assegnata alla figura della cronista/storico.
L'imparare ad imparare, ruotando intorno al concetto di museo “giocando”, rende più diretta l'esperienza museale, aiutando il superamento della mistificazione connaturata con l'essenza stessa del museo. La decontestualizzazione degli oggetti musealizzati può essere superata dalla nuova gestione della cornice ricollegando gli oggetti ed i loro significati nella ricomposizione di un nuovo quadro di contestualizzazione, figlio dell'esperienza del gioco e fondato sulla capacità di gestire i significati “senza fastidio”.