“ALL’OMBRA DE’ CIPRESSI E DENTRO L’URNE…” LA LATINIZZAZIONE DELLA NECROPOLI CUMANA
Priscilla Munzi Santoriello, Centre Jean Bérard (USR 3133 CNRS – EfR) | Giuseppe Camodeca, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” | Henri Duday, Directeur de recherche émérite CNRS UMR 5199 PACEA, Laboratoire d’Anthropologie des Populations Passées et Présentes, Université de Bordeaux | Marcella Leone, Centre Jean Bérard (USR 3133 CNRS – EfR)
Abstract
Durante gli anni di ricerca sulle necropoli settentrionali di Cuma, il Centre Jean Bérard, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Napoli, ha portato alla luce una serie di sepolture di II-I sec. a.C. Lo studio congiunto del palinsesto stratigrafico, dei corredi, del repertorio epigrafico e dei dati antropologici ha permesso di apportare nuove informazioni sulla società cumana e soprattutto aggiungere ulteriori dati sull’autorappresentazione funeraria dei diversi gruppi etnici all’interno della città.
Cuma nel 334 a.C. ottiene la civitas sine suffragio e nel 318 a.C. è sottoposta alla giurisdizione della Praefectura Capuam Cumas. I risultati delle ricerche degli ultimi anni hanno ampliato notevolmente il quadro delle conoscenze sul periodo osco a Cuma e, più in generale, sulla fase tra la metà del II e i primi decenni del I sec. a.C. quando si registrano significativi interventi architettonico-edilizi in diversi punti della città (foro, fortificazioni, acropoli, etc.). Tutte le città dei Campi Flegrei conoscono in questa fase un periodo di grande vivacità economica durante il quale la regione riveste un ruolo di primo piano nei contatti e negli scambi nel bacino del Mediterraneo. La fine delle guerre puniche e la fondazione della colonia romana marittima di Puteoli nel 194 a.C. ne accelerano notevolmente lo sviluppo economico.
L’acquisizione nel 180 a.C. del diritto di usare il latino negli atti pubblici e nel commercio (Liv. 40.43.1) lascia presupporre che a Cuma si sia realizzato il processo di “romanizzazione”.
La zona presa in esame in questo contributo si estende fuori dalle mura settentrionali, lungo gli assi stradali che uscendo dalle porte principali della città si dirigevano verso nord. In questa area, tra la seconda metà del II e la metà del I sec. a.C. il paesaggio inizia ad animarsi della presenza di sontuose tombe a camera semi ipogeica e di un cospicuo numero di tombe individuali a cremazione.
L’analisi dei dati sembra indicare che nella seconda metà del II sec. a.C. il gruppo umano in esame non prediliga un rituale in particolare: cremazione e inumazione sono attestate in maniera univoca. Quello che però sembra mutare completamente è la tipologia architettonica, in apparenza legata alla pratica funeraria adottata: a pochi metri di distanza tra loro insistono tombe a camera per inumazioni plurime e tombe a “parallelepipedi con stele” o a fossa con cippo predisposte per accogliere i resti cremati di un solo individuo.
Nel caso delle prime, si tratta soprattutto di tombe a camera semi ipogeica con volte a botte, sormontate da semata. Queste ultime, messe in opera con grandi blocchi in tufo giallo flegreo, ospitano al loro interno due o tre letti o cassoni funerari. Il rito adottato, come già detto, è l’inumazione. Il defunto è posto su un leggero strato di sabbia accanto al quale è deposto il corredo funerario che appare fortemente standardizzato ma di qualità non trascurabile. Si tratta nel caso d’inumazioni femminili di oggetti che alludono a due sfere del mundus muliebris: da una parte, attraverso la deposizione di manufatti legati al mondo della cosmesi e della cura personale è rappresentata la potenzialità seduttiva della donna mentre, dall’altra, fusi e conocchie ne delineano il ruolo di mulier lanifica, ovvero di donna che ha realizzato il matrimonio.
Il ruolo sociale dell’uomo invece non è enfatizzato attraverso il corredo funerario; questo, quando presente, si limita al solo strigile che potrebbe alludere all’educazione (atletica) del defunto. La mancata connotazione, come nelle fasi precedenti, dell’uomo come guerriero potrebbe far ipotizzare un ruolo differente all’interno della società: egli è ora un cittadino non solo osco ma anche romano e non ha bisogno di armi o altri oggetti per connotarsi come tale. Pertanto, la tomba all’interno della necropoli potrebbe costituirne il riflesso del ruolo occupato all’interno della società. Non vanno dimenticati, infine, gli stili che, solitamente accompagnati da un calamaio, connotano il defunto come soggetto alfabetizzato e colto.
Contemporanee a queste sepolture sono le tombe a “parallelepipedi con stele superiore”. Tale tipologia tombale prevede un ricettacolo in tufo, composto da due grandi blocchi scavati all’interno per dar alloggio al cinerario sempre in ceramica. All’interno dell’urna, oltre alle ossa combuste, si ritrovano alcuni resti del corredo funerario cremato insieme al defunto; oggetti che non si discostano molto dal repertorio tipico delle tombe a camera. In alcuni casi, al momento della cremazione il corpo doveva essere posto su un letto come testimoniano i frammenti combusti in osso finemente lavorato all’interno dei cinerari.
Alcune sepolture conservano sulla parte sommitale dei cippi o delle stele iscrizioni in osco o in latino che connotano gli individui come di origine osca. I nomi incisi nel tufo, in molti casi, sono collegabili a famiglie già attestate a Cuma e nel territorio.
Con il sopraggiungere del I sec. a.C. a queste tombe si affianca una cospicua quantità di tombe individuali, probabilmente pertinenti ai ceti inferiori della popolazione. Si tratta di sepolture secondarie a cremazione segnalate da cippi in tufo simili a quelli attestati nella fase precedente. Le ossa combuste sono deposte all’interno di urne cinerarie, recipienti d’uso quotidiano generalmente adibiti alla cottura dei cibi. Quasi del tutto assenti sono gli oggetti di corredo; alcuni balsamari in ceramica documentano l’esistenza di rituali funerari in relazione con le tombe. In questa fase, la parte sommitale dei cippi e delle stele è caratterizzata da un’iscrizione unicamente in latino che documentala presenza di individui di cittadinanza romana, alcuni dei quali di origine osca.
Lo scavo degli ossuari e l’analisi antropologica dei contesti tombali hanno permesso di evidenziare non solo i dati biologici delle persone deposte ma hanno fornito anche utili informazioni riguardo le pratiche post-crematorie e su alcuni gesti inerenti la conduzione di una cremazione, la raccolta dei resti ossei (l’ossilegium) e la loro deposizione in tomba.
Le sepolture qui presentate mostrano bene la vivacità culturale della città flegrea: una città che, nonostante continui a conservare un substrato culturale greco (Strab. 5.4.4.) e nonostante si sia affacciata al mondo romano in maniera preponderante, continua ad essere influenzata da una forte componente osca (Vell. 1.4.2). In questa società, che potremmo definire multietnica, le famiglie osche o di origine osca oltre a mantenere la loro integrità culturale sembrano detenere anche il potere politico ed economico della città. Questo dato non si evince solo dalle pratiche funerarie ma è ben documentato anche da alcune epigrafi presenti nei settori pubblici della città, dove l’utilizzo dell’osco nelle iscrizioni dedicatorie è un ulteriore forte segnale del potere della compagine italica.
Quello che emerge è la presenza di una comunità di individui legati da una medesima origine che, sia nel privato, quindi nella pratica funeraria, sia nel pubblico, afferma e sottolinea la sua appartenenza ad un gruppo etnico. Heii, Modii, Auxii, Antii,Staiipur essendosi avvicinati alla civiltà romana, che sempre di più fa sentire il suo peso in Campania, nel rituale funerario si “latinizzano” pur continuando ad autorappresentarsi fino agli inizi del I secolo alla “maniera osca”.