PROMETEISMO E MORTE E NELL’ALBANIA COMUNISTA. RITI DELL’IMMORTALITÀ O DELL’ANNULLAMENTO IN ENVER HOXHA E MUSINE KOKALARI

Mauro Geraci, Università degli Studi di Messina

Abstract

Sulla base di una ricerca etnografica avviata nel 2003 e tesa tuttora a comprendere le rigogliose rappresentazioni “prometeiche” della storia nazionale che, dall’Ottocento a oggi, in Albania sembrano costituire il supporto narrativo e letterario d’ogni transizione politica dello Stato, la comunicazione di Mauro Geraci si concentrerà su alcune contraddittorietà po-etiche della ritualità funebre diffusa durante il ferreo regime comunista instaurato ininterrottamente da Enver Hoxha dal 1944 al 1991. In quest’ambito, dove la letteratura ha svolto un ruolo di primo piano nella riscrittura stalinista dell’Albania, gli articolatissimi funerali di Hoxha avvenuti nel 1985 sembrano per molti aspetti conclamare quelle ideali condizioni di resistenza sofferta, autoisolamento e immortalità del resto perseguite e imposte dal dittatore nella politica nazionale attraverso fasi attoriali, autoriali e autoritarie altrimenti riconoscibili nel percorso formativo della maggior parte dei politici albanesi di ieri e di oggi. Il legamento, la velocissima rimozione del corpo, la doppia sepoltura di Musine Kokalari – grande scrittrice e poetessa dissidente, cugina di Hoxha ma antistalinista e fondatrice del partito socialdemocratico, lasciata morire di tumore al seno nell’’83, a Rreshën, tra le montagne della Mirdita, condannata dal regime a una vita segnata dal carcere, dalla deportazione, dalla segregazione e dall’evitazione – sembrerebbero al contrario operare nella direzione di un frugale disfacimento del suo «corpo-bomba», così come venne definito, recuperato e nuovamente sepolto poi dai familiari nel ’91, all’indomani del definitivo crollo del regime.

In effetti, tanto le perennità funebri dedicate a Hoxha quanto l’annullamento della Kokalari e del suo corpo, sembrano rispondere a uno stesso, compiuto mosaico simbolico continuamente rivisitato da attori, autori e autorità tramite un’impresa editoriale e letteraria resa ancor oggi disponibile e più che mai vitale: il mosaico del «Paese dove non si muore mai» (per usare il titolo di un romanzo di Ornela Vorpsi), dell’Albania della vincente perdita, che sanguina ma che non muore e resiste in eterno, insomma le metamorfosi di un vittimismo trionfante, di un “prometeismo” o di un albanismo per molti aspetti utile alle antiche come alle nuove transizioni sociopolitiche. Quali derivazioni di un nazionalismo sorto in epoca romantica, le stesse pratiche librarie, il richiamo a figurazioni simboliche quali quelle della “rocca illirica”, di Prometeo, Scanderbeg, Kadare, Madre Teresa, come delle tombe e statue di partizan e martiri della nazione, oppure la costante valorazione politica di montagne, piramidi, “palazzi dei sogni”, ponti, mari, aquile o del sangue, dei gulag e delle loro memorie servono a riaggiornare una visione “prometeica” della storia attraverso cui l’immaginata Albania ripensa e ridefinisce se stessa, il suo passato come il rapporto con la futura Europa.

Vai ad Academia.edu:  ABSTRACT ESPANSO→  DISCUTI→

giulia osti3.4