LA SIGNORA DEI SANTI E DEI MORTI. GIANNINA MALASPINA CANTASTORIE
Gianfranco Spitilli, Università del Molise
Abstract
In un raccolto cimitero di campagna, fra l’articolazione geometrica delle tombe e il silenzio che governa la solitudine dello spazio scandito dalle sepolture, trascorre le sue giornate Giannina Malaspina. Vestita con l’abito nero del lutto, segno permanente della sua condizione di vedova, veglia il marito defunto da alcuni anni, governandone il sepolcro. Questa pratica dialogica si esprime attraverso differenti registri comunicativi: parlare al morto, istituire un colloquio immaginario, sussurrato e sommesso, o nella forma di una ricapitolazione mentale che investe anche il flusso dei ricordi; piangere l’assenza, irrisolvibile e tragica, richiamando costantemente l’universo emozionale dell’alleanza e del contatto corporale interrotti; mangiare nei pressi del loculo, e reiterare l’intimità quotidiana del gesto ordinario; manipolare la tomba con la ridondanza e l’accumulo di decori floreali e di oggetti appartenuti al defunto, costantemente aggiornati e riconfigurati, o di simulacri che ad esso simbolicamente rinviano.
Giannina Malaspina edifica così una relazione giornaliera con il post-umano che rinnova il rapporto fra presenza e assenza, e inverte la prassi liberatoria della distruzione intenzionale degli oggetti tramite un processo di ricostruzione delle trame domestiche nell’orditura funebre del cimitero. Specularmente la sua abitazione acquisisce, al contrario, i tratti caratteristici di un camposanto, con la moltiplicazione di piccoli altari, miniature di santi, fotografie, lumini, ghirlande, fiori, merletti e oggetti votivi, rivolti al marito o ai defunti della casa e della rete parentale.
La pratica di un incessante colloquio con l’alterità della morte si inscrive in una condizione di liminarità che Giannina Malaspina ha esercitato durante la sua intera esistenza. Cantastorie professionista, specialista rituale della questua itinerante, ha percorso stagionalmente con il marito una vasta area dell’Appennino Centrale, fra le Marche e l’Abruzzo, svolgendo un’attività cerimoniale a domicilio nelle contrade rurali e montane, dove la coppia eseguiva su richiesta delle famiglie ospitanti un canto destinato a onorare i morti della casa, Li diasille dei morti, unitamente a storie di santi cantate: All’onore di Sant’Antonio abate, Il miracolo di santa Rita da Cascia, La storia di San Gabriele dell’Addolorata, evocanti la protezione dalla morte, dal dolore fisico e morale, per sé e per i propri familiari, per gli animali domestici.
Questa funzione operativa che la configura come diasillara (colei che canta per i morti), ereditata da una consolidata tradizione localizzata in alcuni paesi della provincia di Teramo, non esaurisce le modalità performative e comunicative di Giannina Malaspina con l’universo simbolico dei defunti.
Nei giorni che precedono il 2 novembre, il giorno cristiano della commemorazione dei morti, la cantastorie assume su di sé la gestione di un ulteriore cerimoniale al servizio delle proprie comunità di riferimento, distribuito nell’arco di alcune settimane: l’installazione di piccole luci devozionali sulle tombe secondo una trama mnemonica annualmente aggiornata su richiesta dei familiari, che la definisce quale custode della memoria funebre collettiva e protagonista dell’articolazione dialettica fra lo spazio cimiteriale, le sue sepolture, e il mondo dei vivi.