NOTE DI CAMPO SULL’ELABORAZIONE DEL LUTTO NELL’ITALIA CONTEMPORANEA: RIFLESSIONE SUI TATUAGGI COMMEMORATIVI E IPOTESI DI AUTO-POIESI

Federica Manfredi, Pultusk Academy of Humanities, Polonia

Abstract

La morte è un grande mistero che mette ogni essere umano di fronte all’ignoto. Ogni società plasma modelli culturali di riferimento per aiutare i proprio membri a dare forma a questo passaggio: comportamenti appropriati, cibi tabù, vestiti che è bene indossare e altri da evitare, riti di commiato, parole che è bene dire e gesti che dimostrano il proprio rispetto. Condividere i significati legati a questi gesti dona sicurezza a chi li compie o vi assiste: così facendo, si tenta di far diventare umana la morte perché i riti la incanalano e ci insegnano i modi in cui affrontarla, gestirla e renderla meno intrisa di ignoto.

Tra questi tentativi di addomesticare la morte, il presente contributo si propone di analizzare quello dei tatuaggi: espliciti segni di commemorazione che fissano indelebilmente sulla pelle la morte di chi ci ha lasciati.

Metodologia

Le informazioni che si intendono presentare derivano dalla ricerca antropologica sul campo svolta da maggio 2008 a novembre 2012 in diverse località italiane. La metodologia qualitativa si è avvalsa della ricerca bibliografica, di interviste semi-strutturate a interlocutori privilegiati e dell’osservazione partecipante in convention e raduni ufficiali o spontanei.

Conclusioni

In molte società la cultura prevede e legittima modi per intervenire sui corpi umani. I segni sulla carne plasmano gli individui, gli conferiscono una precisa “forma di umanità”[1] e li ultimano rendendoli completi. In Italia invece le modificazioni corporee come i tatuaggi sono “contro-cultura”: non c’è significato condiviso o un esplicito progetto antropo-poietico dietro di esse. Tuttavia gli italiani se ne stanno impossessando e ricorrente è il tema della morte.

L’interpretazione che viene proposta è quella di vedere i tatuaggi come riti di passaggio nuovi, spontanei, che non si allineano con la cultura e la tradizione funebre italiana. Il bisogno di sancire i grandi eventi della vita, come la morte, sembra trovare risposta negli studi di tatuaggi piuttosto che nel bacino culturale della nostra società contemporanea, povera e sbiadita sotto questo aspetto rituale. Il nuovo respiro è dato da queste forme di intervento sul corpo umano: essi sono riti “vuoti”, o per meglio dire svuotati e pronti ad essere riempiti, secondo l’occasione e il bisogno, da ciò che l’individuo vive e vuole marcare, forse solo per sancirlo, dargli una forma oppure per poter passare oltre.

 

 

[1] F. Remotti (a cura di), Forme di umanità, Milano 2002

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