Il MAEC di Cortona: da museo di collezione a sistema aperto di cultura
Paolo Bruschetti
MAEC - Museo dell'Accademia Etrusca e della Città di Cortona
Quando nel 1727 si formò l’Accademia Etrusca a Cortona, fu chiaro da subito che la sua origine non fu solo esercitazione di alcuni intellettuali locali finalizzata allo svolgimento di pratiche letterarie o storiche [tale era la funzione delle tante accademie e circoli letterari sorti un po' in ogni luogo]; tale fenomeno faceva invece parte di quel complesso meccanismo politico-culturale messo in piedi per cercare di limitare i danni derivanti dalla estinzione di una dinastia originaria come quella medicea e dal passaggio del suo potere ad una stirpe dominante esterna alla Toscana. Tenendo ciò a mente, si capisce in modo più corretto perché ne siano stati chiamati a far parte molti personaggi legati a vario modo alle dinastie e alle sfere di potere europee, ai quali fu chiesto di reggerne le sorti, per un anno, come lucumoni. La denominazione stessa di “Accademia Etrusca delle antichità ed inscrizioni” era essa stessa programmatica, se vista nell’ottica del collegamento con l’antica popolazione che viveva in Toscana e di cui si desiderava perpetuare l’autonomia. E soprattutto si comprende bene come questo tentativo sia stato avviato ben prima della conclusione del principato di Gian Gastone e dell’effettiva estinzione della sua casata; e si spiega distintamente il collegamento fra l’Accademia cortonese e, ad esempio, la pubblicazione del “De Etruria Regali” fra 1720 e 1726, voluta fortemente da quel Filippo Buonarroti – archeologo e collezionista, senatore dello stato fiorentino, incaricato dal Granduca di vari uffici pubblici e, non ultimo, accademico della Crusca – che era una sorta di atto ideale di continuità fra la tradizione etrusca e la dinastia medicea; tutto ciò rende giustificati la vitalità e il grande spirito di iniziativa di una istituzione, nata, in fondo, in una piccola città di provincia, assai povera di risorse culturali oltre che economiche e certamente non di primo piano nell’ambito politico. Così si comprende bene quali siano state le risorse, umane ed economiche, che hanno permesso all’Accademia di portare avanti un ambizioso programma editoriale, imperniato sui “Saggi di Dissertazioni”, il primo dei cui tomi uscì già nel 1735 con la dedica al Granduca Gian Gastone, solo otto anni dopo la nascita del sodalizio, in un momento nel quale non era certo agevole proporre opere a stampa di vasto respiro culturale. Tenendo conto di tutto questo, si possono capire in modo molto più evidente le parole con le quali si apre il noto “Capo VI” delle “Deliberazioni e Statuti”: --- perché tutto ciò che può arrecare giovamento agli Uomini … non deve restringersi o nelle angustie di una Accademia o di una Città, ma farne partecipe, se possibile, ogni luogo ove non sono impedite di pervenire le buone lettere, quindi è che a pubblica utilità della Toscana tutta, vogliamo che da quella e da altronde ancora scegliere si possano Uomini nobili, di singolar talento ed amanti degli studi nostri ….. È quindi evidente il desiderio di aprire il contesto accademico a tutti coloro ai quali stia a cuore il benessere, sì, della letteraria Repubblica, ma soprattutto dello Stato civile che quella cultura poteva permettere. Si tratta in buona sostanza di un manifesto programmatico da cui si sviluppa una grande forza propulsiva verso l’evoluzione della cultura anche sul piano della politica attiva, in linea quindi con quello che poco fa si è detto a proposito del movimento a favore della conservazione della autonomia della Toscana.
Sul piano più strettamente culturale, fino dal momento della sua formazione, il Museo dell’Accademia Etrusca è stato uno strumento – assieme alla Biblioteca accademica – destinato al pubblico e finalizzato al miglioramento delle condizioni sociali della popolazione locale attraverso l’incremento delle conoscenze. Come tale ha raccolto i lasciti, i doni e gli acquisti dei collezionisti, degli accademici e dei corrispondenti, costituendo uno straordinario complesso, unico nel suo genere, articolato su molteplici classi di oggetti d’arte antica e moderna e su una ricca “libreria”: tale circostanza è stata altresì fondamentale per impedire la dispersione del patrimonio culturale locale, come è purtroppo avvenuto in altri centri anche importanti, ad opera di raccoglitori e mercanti italiani e stranieri. Tutto ciò, ed in particolare la serie di pubblicazioni che fino dall’inizio vennero curate dall’Accademia, le consentì inoltre di ottenere un grande prestigio negli studi di archeologia e storia, fino a diventare una sorta di punto di riferimento per gli intellettuali di ogni nazionalità.
La brillante esperienza accademica del XVIII secolo fu resa possibile dall’impegno di personaggi dotati di singolari capacità sì intellettuali, ma soprattutto diplomatiche e organizzative: si rammenti che dei fratelli Venuti, che ne furono i principali esponenti, Marcello fu lo scopritore di Ercolano e il Soprintendente agli scavi del Regno di Napoli; Filippo ottenne dal lungo soggiorno francese una straordinaria vicinanza con le nuove tendenze culturali europee, da cui trasse l’idea di stretto collegamento fra religione e cultura; Ridolfino fu un illuminato antiquario, vissuto soprattutto in quella Roma di grandi scoperte e possibilità culturali, che gli permisero di frequentare i massimi intellettuali del Settecento. L’eredità di questi personaggi è durata a lungo, anche nei decenni in cui l’azione accademica fu ridimensionata per la concomitanza di eventi di grande portata (si pensi agli effetti della Rivoluzione francese o delle guerre di indipendenza); si mantenne inalterata tuttavia la costante presenza in città e l’apporto alla cultura dato dal Museo e dalla Biblioteca, che nonostante tutto continuarono ad arricchirsi e a proporre importanti suggestioni.
Il Museo ha conservato a lungo la sua fisionomia, evolvendosi profondamente nella seconda metà del Novecento; dapprima, al termine del secondo conflitto mondiale, con la grande ristrutturazione del palazzo che lo ha da sempre ospitato e con l’ampliamento e la razionalizzazione dei sistemi espositivi; quindi fra la fine del secolo e i primi anni del nuovo millennio con l’apertura verso una prospettiva territoriale organica, senza tuttavia rinunciare al suo carattere originario: ne è derivato un organismo complesso e articolato, con un percorso interno che si svolge su vari livelli, a partire dalla antica biblioteca settecentesca disposta nelle scaffalature dell’epoca, dalle originarie raccolte di oggetti archeologici e d’arte, da collezioni eterogenee – come l’importante sezione “egizia” - fino alle più recenti acquisizioni da scavi archeologici ancora in corso, con i depositi disposti dal Ministero per i Beni Culturali, e alle testimonianze dell’arte contemporanea grazie al lascito del pittore cortonese Gino Severini; e con un percorso esterno al Museo, ma originato dalle raccolte, che si snoda per la città, con i suoi palazzi, le chiese, le strade e le piazze, la campagna e la montagna, organizzato nello schema del parco archeologico-ambientale e, ancora di più, del “museo diffuso”. Grazie a questi rinnovati stimoli, è possibile offrire spunti sempre nuovi sia ai visitatori abituali, che rappresentano una sorta di “zoccolo duro” fra i fruitori della nostra realtà culturale e che trovano nel Museo e nel territorio situazioni sempre nuove e visioni originali e particolari di un patrimonio ineguagliabile; sia a coloro che si accostano casualmente ai nostri beni e che sono così stimolati a diventare anch’essi “amici” del MAEC, traendone occasioni di conoscenza e di sviluppo personale.
L’apertura a sollecitazioni nuove viene dal rapporto – non nuovo per l’Accademia in quanto avviato già nel Settecento – con le maggiori realtà culturali italiane e internazionali (fra le tante si ricordino il Louvre, il British Museum, l’Ermitage, la BSR, la Scuola Normale Superiore, l’Istituto Francese ecc.): da ciò sono nate e sono in corso esperienze espositive mai fini a se stesse, ma sempre legate alla funzione di polo culturale del territorio che il Museo intende esercitare, rinnovando una mission formativa e di sviluppo del tessuto sociale ed economico cittadino: tali sono, in fondo, i principi indicati nella nostra Costituzione, allorchè sancisce il dovere assegnato alla Repubblica dello sviluppo della cultura e della sua tutela; il contatto con organismi esterni al nostro Paese può essere infine importante, assieme alla frequenza di innumerevoli “colonie” di cittadini stranieri che si accostano alla città sia come visitatori che come residenti, per allargare i nostri orizzonti verso quella rinnovata “patria” sopranazionale alla quale, nonostante tutto, abbiamo cominciato a credere.