La dimensione narrativa del Museo archeologico Villa Sulcis di Carbonia

Antonio Gambatesa
Ricercatore indipendente

Nella semiotica contemporanea il concetto di segno non ricopre più un ruolo centrale, soppiantato, invece, dai processi di significazione e comunicazione, che inseriscono il segno in un insieme di altri segni, a formare un’unità di analisi chiamata testo.

Studiare il testo come una trama, un sistema ordinato su più livelli interconnessi, da quello più superficiale a quello più profondo, fa emergere il senso – piuttosto che il segno – del testo, definito come: «Qualunque concreto insieme di segni, delimitato da precisi confini extratestuali, strutturalmente organizzato».

Nell’ottica di una semiotica di tipo testuale il museo costituisce un sistema di significazione e comunicazione a tutti gli effetti.

La parola museo evoca nella tradizione antica le muse che nella mitologia greca erano le nove figlie generate da Zeus e da Mnemosine, dea della memoria. L’origine etimologica indica che lo spazio individuato con il termine museo intrattiene una relazione costitutiva con la memoria: «Serbare memoria di qualcosa, decidere di ricordare qualcosa, anziché dimenticarlo, è il frutto di una decisione di una comunità, che sceglie di riconoscersi in alcuni eventi, in alcune esperienze collettive che hanno segnato la sua storia e che, strutturati insieme fanno parte della sua identità».

L’analisi semiotica di un museo si basa sul presupposto che anche lo spazio, che ne costituisce una parte fondamentale, possa considerarsi come una realtà significante. Nel caso di un museo siamo di fronte ad un spazio sincretico, dove dialogano e si relazionano segni diversi: dall’architettura all’allestimento, dagli oggetti al linguaggio, dalla didattica ai visitatori.

Anche i soggetti che entrano in relazione con uno spazio svolgono un ruolo fondamentale; infatti, attraverso le azioni e i rapporti che essi mettono in atto possono ricoprire le funzioni prescritte in un determinato luogo, ma possono anche distaccarsene e svolgerne di nuove. Si realizza, pertanto, un processo di mediazione nel quale hanno grande importanza anche gli oggetti, che circolando tra i soggetti non fanno altro che alimentare interpretazioni potenzialmente infinite.

Il paradigma sul quale si basa la relazione tra il visitatore e gli oggetti in un museo è quella dello sguardo che varia nello spazio e nel tempo. Tale rapporto si traduce tra il far vedere il museo attraverso l’organizzazione dello spazio e il veder fare nel museo che si sviluppa mediante i percorsi di visita. Il museo diventa così destinante delegato da un soggetto enunciatore che attraverso gli spazi, le forme e il linguaggio allestisce e seleziona gli oggetti, permettendo che l’enunciatario (il visitatore) realizzi il suo programma narrativo di congiunzione con i valori che la struttura museale si propone di comunicare.

L’enunciatario non è considerato soltanto dal punto di vista delle competenze cognitive e del suo bagaglio culturale, ma anche dalla sua perfomance nel percorrere le sale e guardare gli oggetti. Infatti, la relazione fra i segni e i loro utenti è un rapporto di tipo interpretativo. Si ha  interpretazione tutte le volte che il comportamento di risposta a uno stimolo non è meccanicamente determinato, ma implica una qualche scelta, fatta recuperando i saperi pregressi (esperienze e conoscenze) a loro volta fatti di segni.

Questo contributo propone una riflessione sul Museo archeologico Villa Sulcis attraverso l’analisi dell’allestimento degli oggetti nello spazio, dei percorsi e di altri sistemi significativi. Il tutto per far emergere gli effetti e la produzione di senso per ricostruire la proposta di significazione e comunicazione che il museo è in grado di veicolare.

Il Museo archeologico Villa Sulcis ha sede nella città di Carbonia, nel territorio del Sulcis in Sardegna, circondato da un parco urbano, all’interno del quale si trova la biblioteca comunale, un punto ristoro e un parco giochi, caratterizzando così il luogo come uno spazio dedicato ad attività ludico-culturali. Il museo si compone essenzialmente di due corpi di fabbrica adiacenti: l’edificio storico di Villa Sulcis, ex residenza del direttore della società mineraria e da un’ala contigua inaugurata nel 2008 per l’estensione dello spazio museale.

Il primo nucleo del museo fu inaugurato nel 1988 in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della città, costituito dai materiali provenienti dalle campagne di scavo condotte negli anni Sessanta a Monte Sirai e da due collezioni private (Doneddu e Pispisa).

Il principio che ha guidato il nuovo progetto museologico è stata la ricontestualizzazione: l’esigenza, cioè, di restituire l’oggetto al suo ambiente attraverso l’associazione con il contesto originale di ritrovamento e/o quello ricostruito per confronto. Al centro delle esposizioni non ci sono più i siti o i materiali a corredo di una fase cronologica, ma i grandi temi che descrivono le cesure più importanti e i cambiamenti che motivano la scansione in facies e culture. L’esposizione è articolata in modo tale che ogni tema può essere fruibile singolarmente ed essere comprensibile di per sé. Tuttavia, i singoli temi possono essere inseriti in un flusso cronologico più generale, suggerito attraverso un nastro colorato aderente alle pareti e alle vetrine, come un fil rouge che si dispiega fino ad avvolgere tutto il museo. Ogni colore indica un periodo culturale differente: verde scuro e chiaro per la preistoria e la protostoria, rosso per la fase fenicio-punica, blu per il periodo romano e viola per la tarda antichità.

L’impostazione tematica nel progetto museografico è stata tradotta ponendo al centro dell’esposizione la ricostruzione realistica dei contesti archeologici, attraverso ambientazioni e riproduzioni in scala. Gli espositori tradizionali (che non sono stati sostituiti) non permettono una visione a 360 gradi dei reperti, ma per ovviare a questo limite si è pensato di ricostruire gli ambienti di provenienza con uno sfondo fotografico a tutta vetrina.

Il museo si estende su due piani e vi si accede attraverso un unico ingresso che ne determina il percorso di visita circolare. Al pianoterra sono presenti i servizi di biglietteria e bookshop dove è possibile ritirare le brochure e acquistare la guida del museo. Il percorso di visita comincia dalla prima sala seguendo i temi e i siti che raccontano la preistoria e la protostoria del Sulcis. Inoltre, la prima sala è adibita allo svolgimento dell’attività didattica, ed è presente anche un leggio con testi in braille e una vetrina tattile che raccoglie materiali eterogenei provenienti da sequestri e ritrovamenti casuali.

Alla fine della prima sala si dipartono due rampe, che attraverso la visione di gigantografie di paesaggi archeologici, conducono il visitatore alla seconda e alla terza sala, riservate rispettivamente al Sulcis fenicio e a Monte Sirai. La scelta di utilizzare le rampe si rivela funzionale per abbattere le barriere architettoniche, ma anche comunicativa, riproponendo attraverso di esse la suggestione altimetrica che anticipa o richiama nel visitatore il percorso per raggiungere il sito di Monte Sirai, posto su un pianoro a 191 metri s.l.m. Percorrendo nuovamente le rampe, ma in direzione opposta, si ritrovano le gigantografie che accompagnano il visitatore nella prima sala, contente i reperti di epoca romana e tardo-antica.

L’illuminazione è artificiale poiché la destinazione d’uso dell’edificio precedente non favorisce l’uso della luce naturale, sfruttata invece nella parte nuova della struttura, attraverso delle porte-finestre che si aprono all’entrata del museo. La luce artificiale è fornita attraverso dei neon a basso consumo presenti in ogni vetrina. I pannelli informativi sono redatti in italiano e inglese: quelli più piccoli sono situati all’interno e/o all’esterno delle vetrine espositive e descrivono i reperti, mentre quelli più grandi posti nelle sale descrivono le culture e i temi di riferimento.

Il logo del museo è costituito da una componente figurativa ed una verbale. Per quanto riguarda la prima, vi è rappresentata in bianco su sfondo nero la riproduzione della placchetta in osso raffigurante la divinità Bes proveniente da Monte Sirai e conservata al museo. Mentre per la componente verbale il logo è chiuso nella parte inferiore, sempre in bianco su sfondo nero, dalla dicitura, “Museo Archeologico Villa Sulcis”. Il logo si caratterizza per una duplice funzione comunicativa: la componente verbale costituita dalla parte iscritta rimanda alla funzione museale della struttura, mentre quella figurativa rinvia alla doppia vocazione di museo territoriale e di ricerca, esponendo i reperti provenienti dal comprensorio con quelli scoperti durante gli scavi a Monte Sirai, luogo simbolo quando si parla di archeologia fenicio-punica in Sardegna.

Agli oggetti esposti nel museo – di per sé già portatori di senso nella loro natura intrinseca – è attribuito un senso ulteriore, con il compito di rappresentare e promuovere la storia e la cultura della città. Infatti, lo sviluppo sostenibile del turismo e in particolar modo di quello culturale è una risorsa necessaria per riuscire a superare le ricadute negative della crisi della produzione mineraria che negli ultimi anni ha duramente colpito la comunità. Il risultato è un museo caratterizzato da una forte impronta comunicativa e didattica, che trova spazio anche nel web. Nel sito del comune di Carbonia che ne è l’ente titolare, è possibile realizzare una visita virtuale. Inoltre, il museo ha una pagina social che permette un’interazione diretta e immediata con i visitatori, cui si aggiunge anche l’app per accedere a informazioni e contenuti extra.

 

giulia osti28