Comunicare la complessità del tempo: potenzialità dei parchi archeologici
Maria Emanuela Oddo
IMT Lucca
L’esposizione museale è, a detta di Pomian, una narrazione storica materializzata in oggetti. Questi oggetti sono testimoni di un tempo passato perché esistenti in un tempo presente [Pomian K. 2001. Che cos’è la Storia, Milan, 26-37] e così includono nella loro fisicità una temporalità doppia, un intervallo, quello tra il Maintenante l’Autrefois [s.v. Didi-Huberman G. 2000. Devant le Temps, Paris].
I reperti esposti nello spazio museale sono, d’altro canto, oggetto di una scelta curatoriale: essi sono selezionati e disposti lungo un percorso che materializza una narrazione storica.
L’invisibilità di tale scelta, e ancor di più il suo occultamento dietro una presunta oggettività cronologica, sono stati oggetto di forti critiche a partire dalla fine degli anni Ottanta. La nozione di tempo veicolata all’interno dei musei è stata infatti spesso tacciata di appiattimento, banalizzazione e ideologizzazione teleologica. Queste critiche si riferiscono in particolare a quei percorsi espositivi lineari e strettamente cronologici, che inducono il visitatore a percorrere fisicamente la periodizzazione e, in un certo senso, esperirne l’ineluttabilità [Lubar S. 2013. Timelines in Exhibitions, «Curator. The Museum Journal» 56.2, 169-188]. Per quanto teoreticamente valide, queste critiche non hanno portato a risultati rivoluzionari nella pratica museale: le tradizionali alternative all’ordinamento cronologico – l’esposizione per aree tematiche o geografiche – vengono per lo più inserite all’interno di una periodizzazione generale di cornice al fine di essere comprensibili al pubblico [Swain H. 2007, An Introduction to Museum Archeaology, Cambridge (UK), 222-226]. Lo stato della ricerca ci induce a domandarci se la narrazione museale, come le altre narrazioni, sia soggetta a quella linearità che Lessing riteneva connaturata alla forma scritta [Lessing, G. E. 1766. Laokoön oder Über die Grenzen der Malerei und Poesie, Berlin] e che Foucault individuava come caratteristica costitutiva dei sistemi rappresentativi [Foucault M. 1966. Les mots et les choses, Paris] – e cos’è il Museo se non una rappresentazione della Storia? Lessing stesso individua nell’immagine un’alternativa alla linearità del testo, poiché essa offre nella sua simultaneità una visione complessa del tempo. Si vuole qui proporre l’idea operativa di una proporzione: l’immagine sta al testo come il parco archeologico sta al museo. Sarà opportuno precisare che ai fini della presente trattazione la distinzione tra parco e museo - in anni recenti piuttosto sfumata nella letteratura museologica - sarà così individuata: il parco è il luogo in cui i reperti e le strutture vengono fruiti nel loro contesto di ritrovamento; il museo è il luogo in cui i reperti vengono decontestualizzati ai fini della fruizione. Il parco archeologico è, dunque, un sito reso fruibile. Ricorderò a questo proposito la magistrale definizione di Manacorda: «In qualunque angolo del nostro pianeta un sito è una porzione tridimensionale di spazio, che rechi con sé i segni del tempo, cioè della quarta dimensione che lo ha plasmato, ora con apporti ora con sottrazioni di materia.» [Manacorda, D. 2007. Il sito archeologico: fra ricerca e valorizzazione, Roma, 7].
In quanto impronta del tempo, il sito ne problematizza la linearità e rivela l’ambiguità dei mutamenti storici nella presenza simultanea di persistenze e sovrapposizioni. Camminando all’interno del parco archeologico il visitatore non segue un percorso cronologico attraverso la storia, maspazia in un luogo reale più volte trasformato – l’ultima volta dallo scavo stesso – in cui le tracce del tempo si offrono alla vista del visitatore nella loro simultaneità, come in un’immagine. Con ciò, naturalmente, non si intende sostenere l’assoluta oggettività del sito archeologico rispetto alla dimensione temporale. Difatti, sebbene esso non sia soggetto ad una scelta curatoriale, l’immagine che si offre alla vista del visitatore è frutto di una scelta di scavo, che in alcuni casi può essere anche piuttosto drastica e troppo spesso passa inosservata nella percezione del pubblico. D’altro canto, i siti scavati – o riscavati – secondo criteri moderni, tentando di mettere in luce la maggior porzione possibile di stratificazione, offrono delle immense potenzialità di comprensione del tempo storico e delle sue tracce materiali. Queste ultime rendono visibili le modifiche, le rifunzionalizzazioni e i riusi del sito stesso, e al contempo fanno balenare la complessità dei dati storici nella loro natura frammentaria. Questi due elementi – la complessità del tempo della storia e il procedimento critico attraverso il quale tale tempo viene ricostruito – sono tra le consapevolezze più preziose della teoria storica contemporanea [M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, tr. it. Torino 2009 (Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Paris 19932)] e la loro trasmissione è un preciso dovere delle istituzioni culturali. Si tratta, tuttavia, di concetti complessi che nella loro materialità risultano spesso difficilmente leggibili dal visitatore medio. Infatti i supporti alla visita comunemente presenti nei parchi archeologici, pur rendendo giustizia della complessità stratigrafica, richiedono spesso allo spettatore uno sforzo intellettuale cui non è preparato né disponibile. Può quindi rivelarsi utile avvalersi dell’ausilio della tecnologia per rendere la comunicazione più immediata e consentire al fruitore di porre domande e, in alcuni casi, selezionare risposte in una rosa di possibili alternative. In questo processo, uno strumento efficace e poco dispendioso è il mapping, che consiste essenzialmente nella proiezione di luci diverse sulle diverse fasi costruttive di una struttura, al fine di farne risaltare la stratificazione.
Altrettanto fruttuosa si rivela spesso l’interazione tra illuminazione selettiva di un’area e touch screen contenente informazioni a vari livelli di approfondimento, selezionabili da parte dell’utente.
Questi espedienti, quando non indulgano a dozzinali disneyzzazioni, rendono intellegibile il tempo storico nella simultaneità dei suoi resti materiali e, proseguendo la proporzione tra parco e immagine di cui si è detto sopra, si può affermare che esse aggiungano colore al disegno del passato tracciato sulla tela del sito archeologico.