Alla ricerca di un’identità perduta. Il progetto del Museo dell’area archeologica del Teatro di Marcello

Laura Pennacchia
"Sapienza" - Università di Roma
Agnieszka Smigiel
Università degli Studi di Cagliari

 

Il progetto che si presenta propone la musealizzazione di un sito le cui stratificazioni storiche sono il risultato di una continuità d’insediamento ininterrotta dal V secolo a.C. al XX secolo. La comunicazione al pubblico delle vicende costruttive di un’area complessa come quella del Teatro di Marcello passa necessariamente attraverso l’illustrazione dell’evoluzione architettonica del luogo nel tempo. Il progetto prevede l’esposizione dei reperti rinvenuti nell’area all’interno delle strutture che la costituiscono, che vengono considerate esse stesse oggetto della narrazione, guidando il visitatore lungo un percorso che chiarisce le successioni cronologiche che egli attraversa percorrendone gli spazi. Fulcro del Museo è l’edificio detto Albergo della Catena, verso il quale convergono percorsi che si snodano attraverso tutti i livelli dell’area.

La complessità delle stratificazioni che caratterizzano il sito rende necessaria una sintesi delle vicende costruttive che lo hanno trasformato nel tempo. L’assetto attuale dell’area è il risultato delle demolizioni condotte tra il 1926 e il 1932 con l’obiettivo di liberare il Teatro di Marcello dalle superfetazioni e realizzare un asse di collegamento tra piazza Venezia e il Circo Massimo. L’area compresa tra il colle Capitolino e il Tevere costituiva un densissimo quartiere di Roma di impianto medievale, del quale sono state conservate solo alcune strutture isolate tra cui la casa dei Pierleoni, la casa dei Crescenzi, la casina dei Vallati e l’Albergo della Catena. I livelli archeologici del sito comprendono le strutture del Teatro di Marcello, i resti della Porticus Octaviae, i basamenti del tempio di Apollo Sosiano e del tempio di Bellona e le tracce dei portici che li cingevano.

La quota di percorrenza attuale dell’area è quella di età augustea, ma le testimonianze più antiche sul sito risalgono al V secolo a.C.. Il tempio di Apollo Sosiano, di cui spiccano al centro dell’area tre colonne ricomposte con anastilosi, costituisce un rifacimento augusteo di un tempio preesistente, del quale il podio e il mosaico pavimentale sono osservabili all’interno delle strutture che li hanno inglobati successivamente. Nel tempo gli edifici dell’area subiscono diversi danneggiamenti e sulle preesistenze sorgono organismi edilizi che ne riutilizzano strutture murarie ed elementi costruttivi. All’interno del propileo della Porticus Octaviae nell’VIII secolo viene costruita la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, la cui diaconia si insedia nelle strutture circostanti: studi recenti hanno dimostrato come essa si estendesse fino al portico dei templi di Apollo e Bellona con strutture probabilmente destinate all’ospitalità. In età medievale i resti del tempio di Apollo erano probabilmente collegati alla diaconia attraverso due archi in muratura aperti nella parete occidentale della cella, oggi osservabili al primo livello dell’Albergo della Catena. Le fasi successive di sviluppo dell’Albergo sono desumibili attraverso la lettura stratigrafica delle murature, resa difficoltosa dalle demolizioni e dagli interventi di restauro subiti dalle stesse. Accanto al primo nucleo, sorto nello spazio tra il tempio e la porticus, sembra essersi innestato un edificio laterizio di tre piani. Successivamente il primo corpo deve essere stato soprelevato e ampliato e un ulteriore intervento ha visto l’addossamento ad esso di un edificio in tufelli e materiale di reimpiego. Le fondazioni di questi organismi, realizzate negli strati di deposizione e crollo delle strutture antiche, inglobano elementi architettonici oggi osservabili al livello inferiore dell’Albergo. La documentazione d’archivio fornisce dati sulla destinazione dell’edificio a taberna, hostaria e infine albergo a partire dal XVI secolo fino agli anni delle demolizioni. Alla fine del XVII secolo, con l’ampliamento di Santa Maria in Campitelli, il relativo convento realizza le proprie cantine scavando all’interno degli strati d’interro e del basamento del tempio di Apollo, fino a raggiungere a sud il podio del tempio repubblicano e ad ovest la Porticus Octaviae.

Ognuna delle strutture descritte ospita una sezione del Museo, il cui progetto è stato dettato direttamente dalla configurazione del sito.

L.P.

PROGETTO MUSEOLOGICO

Secondo Zygmunt Bauman, parlando della cultura nella “modernità liquida” siamo di fronte alla frammentazione del tempo in episodi, ciascuno separato dal suo passato e dal suo futuro, ciascuno chiuso e concluso. Secondo il filosofo il tempo non è più definibile come un fiume, ma un insieme di pozzanghere e piscine. In questa realtà è molto difficile ritrovare l’identità culturale e quella del luogo. Il problema diventa cruciale quando si parla di un’area archeologica così complessa come quella del Teatro di Marcello dove si sono sovrapposti tanti episodi e stratificazioni diverse. Si tratta di un luogo unico anche per la sua posizione facilmente integrabile nei circuiti turistici e museali già esistenti e frequentato in quanto zona di passaggio tra il quartiere del Ghetto e la zona del Campidoglio. L’Albergo della Catena è attualmente in disuso e i reperti rinvenuti in situ sono dislocati sull’area stessa e decontestualizzati in diversi musei o abbandonati in depositi senza la minima valorizzazione. Il museo proposto cerca di illustrare il loro contesto storico e renderli importanti testimoni di una cultura. Il concetto di base è di parlare non degli oggetti, ma tramite gli stessi. I reperti esposti nel museo diventano in questo modo i cosiddetti “semiofori” di Krzysztof Pomian, cioè vettori di comunicazione e portatori di significato: non solo segni di se stessi, ma anche di un insieme culturale più vasto di cui fanno parte. Il progetto di realizzazione di una serie di percorsi didattici in tutta l’area tende infatti a ritrovare un filo invisibile di connessione tra gli oggetti, le strutture e il contesto. Attualmente è un luogo che tace, privo di qualsiasi tipo di narrazione, e che necessita di un progetto di valorizzazione e risemantizzazione.

Il progetto di allestimento ha previsto l’organizzazione “verticale” degli spazi espositivi per i temi che riguardavano le singole fasi dell’area. Così il livello -1 permette di vedere il basamento della fase repubblicana del tempio di Apollo in Circo, mentre il livello 0 consente di osservare il limite orientale del Portico d’Ottavia. Sul livello 1 sono collocati frammenti architettonici della fase augustea del Tempio di Apollo Sosiano e l’allestimento mira alla comprensione della sovrapposizione delle strutture dell’Albergo sul basamento del Tempio. Il livello 2 è dedicato all’intera area archeologica del Teatro di Marcello. Si è pensato inoltre di accentuare nel visitatore la sensazione di ascesa verso la conoscenza dell’area attraverso un progetto illuminotecnico coerente con il concept dell’allestimento. Si passa dai tenebrosi corridoi sotterranei a due livelli caratterizzati da luci d’accento studiate per evidenziare i singoli pezzi nella semioscurità, fino al livello dedicato all’area archeologica, nel quale sono previsti due luminosi affacci sul sito che ne permettono una visione privilegiata dall’alto. I percorsi sono arricchiti da proiezioni esplicative e apparecchiature che offrono un’esperienza sensoriale e “immersiva”. L’organizzazione del percorso di visita secondo il criterio tematico-cronologico è stata dettata dalle stratificazioni storiche che si succedono nel sito.

L’obiettivo principale è creare una forma di narrazione aperta, molteplice e discontinua, favorendo la comprensione delle stratificazioni storiche accresciute nel tempo e il dialogo con il contesto urbano attuale. L’attenzione si sposta dall’oggetto al racconto attorno all’oggetto. Il tema predominante, quindi, è il racconto del passato, in cui il museo assume la funzione della cosiddetta “eterotopia” di Michail Foucault, cioè di un ambiente semiotico che rimanda all’alterità spaziale e temporale, essendo in grado di instaurare il contatto con altre culture lontane nel tempo, consentendone la lettura e conoscenza. Il museo non si limita infatti ad esporre e spiegare la natura delle strutture architettoniche e degli oggetti, ma li usa per costruire un discorso più complesso, creando anche relazioni di senso tra l’oggetto, il contesto e il visitatore. Il progetto museologico mira alla rappresentazione di un qualcosa di non immediatamente tangibile in cui le opere esposte diventano degli intermediari. Il tutto si apre verso la creazione di una nuova dimensione, parallela alla dimensione del sito che lo genera, portando alla ricerca di un’identità perduta dell’area.

A.S

 

giulia osti17