DEFUNTI ATIPICI TRA ARCHEOLOGIA E ANTROPOLOGIA. QUESTIONI APERTE
Maria Bonghi Jovino | Università degli Studi di Milano
Abstract
La questione delle morti atipiche è argomento sub iudice. Con questo contributo intendo trattare il tema da una angolazione specifica. Si tratta di quei defunti atipici che sono stati sepolti non in necropoli bensì al centro dell’abitato di Tarquinia, in un’area sacralizzata fin dalle origini con una connotazione che appare decisamente anomala. Le modalità di morte sono diverse in quanto si tratta di defunti di morte naturale e di morte violenta.
Alcune sepolture rappresentano dei veri e propri casi di studio.
La sepoltura avvenuta alla fine del X secolo a.C. di un bambino epilettico, disteso sulla nuda terra, riporta alla fenomenologia del ‘prodigioso’ ed è da intendere quale espressione di un processo di simbolizzazione nella percezione del ‘divino’ maturata nella comunità tarquiniese. In altri termini si tratterebbe di un processo di coniugazione tra percezione e realtà.
Un altro caso è rappresentato dal supplizio capitale di un adulto a carattere espiatorio nell’VIII secolo a.C. Gli studi sui sacrifici umani in area mediterranea risente dell’importanza dell’argomento pur nelle diverse impostazioni degli studiosi, da coloro che hanno stimato come il numero elevato delle citazioni antiche dovesse trovare un riscontro nella realtà, a coloro che hanno espresso contrarietà, incredulità o negazione. Né sono mancate varie speculazioni sulla definizione di “sacrificio”.
Ci si interroga sulla possibile esistenza di una differenza tra sacrificio umano propriamente detto, vale a dire offerto alla divinità, e altri riti che possono richiedere l’uccisione dell’uomo e se pratiche siffatte nell’età del Ferro possano risalire a situazioni ancora più remote. La collocazione dell’individuo e le vicende collegate alla pena capitale aprono spiragli su specifiche liturgie di cerimonie pubbliche nell’area sacralizzata che fin dall’origine funse da socio-religious focus della città etrusca.
Infine le due discipline, archeologia e antropologia, devono fare i conti, al loro interno, con una complessità di teorie, di modelli, di realtà pratiche e ideologiche, che non sempre consentono agevoli transiti da una sponda all’altra.