ARCHEOLOGIA E ANTROPOLOGIA DELLA MORTE.
III INCONTRO DI STUDI DI ANTROPOLOGIA E ARCHEOLOGIA A CONFRONTO
École française de Rome, Stadio di Domiziano | Roma, 20-22 maggio 2015
La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, com’ebbe modo di evidenziare Heidegger nel secolo scorso e come ha colto in modo assai efficace Luigi Pirandello quando scrive: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati». L’antropologia sociologica francese, sin dagli inizi del Novecento, ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione; i momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di una esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura.
In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine, di un “limite” che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. Un confine, per definizione, pur essendo un costrutto prettamente culturale, contribuisce a codificare e rafforzare l’identità delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte in quanto confine può contribuire a definire l’identità di ciascuno di noi, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà” o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtà”. Un racconto simbolico, intimo e paradossalmente corale, che oggi siamo abituati a sperimentare nella forma del necrologio televisivo e/o nella partecipazione a un funerale. La morte è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua. Chi si confronta col passato deve necessariamente varcare questo confine, delineandone i tratti per tramite di ciò che ne sopravvive.
La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a confronto – traendo spunto da una più ampia riflessione retrospettiva recentemente confluita nel volume Archeologia e Antropologia della Morte: Storia di un’Idea. La semiologia e l’ideologia funeraria delle società di livello protostorico nella riflessione teorica tra antropologia e archeologia, Bari 2015 (Nizzo 2015) – ha affrontato queste complesse problematiche, offrendo al pubblico e agli specialisti un quadro di insieme sui più fruttuosi approcci teoretici e sulle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera, per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla, con un focus incentrato sulle società di livello protostorico estinte o persistenti ma con uno sguardo rivolto anche alla contemporaneità, come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.
Alla profondità temporale dell’archeologia e alla sua consuetudine epistemologica con la concretezza materiale della nostra essenza e dei nostri gesti ha corrisposto, quasi inevitabilmente, la capacità di sintesi e relativizzazione propria dell’antropologia culturale, in grado di penetrare i complessi meccanismi dell’astrazione rituale e semiotica propria dell’agire umano, mettendo in luce la stratigrafia emozionale e le contraddizioni consce e inconsce del nostro sentire e del nostro agire e del modo in cui tentiamo – per quanto possibile razionalmente – di comprenderli e decrittarli.
Tra le tematiche sulle quali si sono confrontati in un dialogo interdisciplinare (archeologico, antropologico, bioarcheologico, archeotanatologico, semiotico, filosofico) i maggiori specialisti internazionali spiccano quelle legate alla ricostruzione del paesaggio e della performance rituale, all’interpretazione della prassi funeraria nei suoi esiti formali e in quelli devianti – nei duplici e spesso avvincenti risvolti della necrofilia e della necrofobia –, all’analisi e alla ricostruzione delle problematiche concernenti la percezione della morte nei suoi risvolti materiali e simbolici e nelle sue astrazioni rituali (discutendo di temi e categorie come la tanatoprassi, la tanatosemiotica, l’antropopoiesi, la materialità/corporeità, individualità/dividualità, material engagement, enchainment ecc. ecc.), alle questioni concernenti le potenzialità e i limiti della ricostruzione storica e sociologica attraverso l’indagine delle pratiche e dell’ideologia funeraria e, più in generale, alla discussione del problema di fondo di cosa sia o non sia e di cosa significhi o non significhi (in una accezione propriamente semiotica) una sepoltura.
Per tali ragioni gli esiti del convegno hanno fornito una delle sintesi più ambiziose e aggiornate su uno degli aspetti più controversi e complessi del dibattito storico sulle società del passato e, al contempo, un importante e per molti versi inedito momento di riflessione su una delle fasi paradossalmente più significative dell’esistenza, al limite dell’essere, quando il sé raggiunge finalmente il suo compimento nel momento stesso in cui non è più.