Amore canino. L'evoluzione di cani selezionati, per caccia e compagnia, nella protostoria italiana
Filippo Maria Gambari
“Chi non ha tenuto con sé un cane, non sa cosa sia amare ed essere amato” (A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, ove riprende un passo da Mariano José de Larra, El doncel de Don Enrique el doliente).
Fin dai primi momenti dell’età del Rame in Italia appare l’evidenza di sepolture congiunte di uomini di rango e cani, sacrificati per essere seppelliti con il padrone. Può risultare più evidente nella ritualità funeraria la sottolineatura di un rapporto affettivo con il defunto, per esempio nella sepoltura ai piedi dell’inumato, secondo modelli antropologici che ritorneranno fino all’età medievale, che evidenziano un processo di separazione di alcuni cani dalla massa che viveva ai margini degli insediamenti o da quelli impiegati a servizio dell’attività di transumanza. Ma è con l’età del Ferro che emerge la selezione di vere e proprie razze di cani in rapporto ai simboli di status delle élite. Questi sono soprattutto raggruppabili in tre tipologie, come evidenziato già nell’Odissea: cani allevati per bellezza e compagnia (“da banchetto”), per specifiche forme della caccia signorile (soprattutto al cervo) secondo modelli orientalizzanti, per la corsa (levrieri). I dati delle fonti, incrociati con i dati iconografici e paleofaunistici forniti dall’archeologia, ci permettono così di cogliere un ruolo particolare dell’Italia nello sviluppo di razze specifiche come i cirnechi e i segugi, fino all’arrivo nell’avanzata età del ferro dei cani molossoidi. I reguli dell’area alpina occidentale mostrano poi nella seconda età del ferro una particolare attenzione allo sviluppo dell’allevamento specializzato di cani di corte, che porteranno alla selezione ed alla diffusione di cani con spiccate caratteristiche, come il segugio italiano a pelo raso o il San Bernardo.